Una serie di linee rette colorate che convergono in un unico punto di fuga centrale, come grattacieli stilizzati che si perdono in un invisibile orizzonte. Se c’è un’immagine che può descrivere il secondo album dei mantovani Two Hicks One Cityman è proprio la sua copertina (l’artwork è curato da Marco Bresciani ed Elia Capitani), in uscita venerdì 12 aprile per la nuova etichetta siciliana Nesc’i Dischi di Lorenzo D’Antoni. Successore del fortunato esordio Lonely Nights (2017), presentato in anteprima su Ondarock e disco del giorno per Rockit, Ukiyo riprende le istanze sonore della prima ora per ampliare, e di molto, il raggio di azione. Potremmo quasi affermare che ognuna delle otto canzoni in scaletta fa storia a sé, tale è la libertà espressiva del trio.
Un trio composto da musicisti ancora giovani ma già con una storia alle spalle: Alessandro Castagnoli (voce, chitarra e synth) ha militato nei Dustcloak, semifinalisti al Rock Contest di Controradio nel 2011; Giorgio Caiazzo (batteria) e lo stesso Alessandro hanno suonato insieme nei Quarter Past One, altra band che a cavallo tra gli anni Zero e Dieci si è fatta notare al pubblico e agli addetti ai lavori. Completa la formazione, Francesco Zaniboni (basso, cori e voce).
Esaurite le precedenti esperienze, il gruppo si è lanciato in un’avventura tutta nuova, Two Hicks One Cityman, di cui Ukiyo è appunto il secondo capitolo in studio. “Questo termine – spiegano – ha due significati. Anzitutto, si tratta di una corrente artistica giapponese la cui opera più celebre è La grande onda di Kanagawa del pittore Hokusai. In secondo luogo, è un vocabolo diffuso in Giappone che indica un mondo fluttuante e inconsistente che si discosta dal ciclo buddhista di morte e rinascita. L’abbiamo fatto nostro in un’accezione diversa: la capacità di sentirsi in pace nonostante le avversità. Crediamo corrisponda al nostro stato d’animo durante il lungo processo di composizione del disco”.
A livello stilistico, Ukiyo è uno scrigno pieno di sorprese. Le radici sonore affondano ancora nel funk e nel soul, e in tal senso Funk #88 rappresenta un ponte con il (recente) passato della band lombarda. Un pezzo dopo l’altro, tuttavia, si entra in mondi sempre nuovi, e in particolare in un synthpop di chiara matrice anni Ottanta. “Abbiamo ‘scoperto’ il mondo dei synth – affermano i tre – e abbiamo provato a immedesimarci in sonorità per noi inedite. Dal nostro punto di vista è una piccola svolta, in quanto l’attitudine è cambiata molto rispetto ai precedenti lavori, per quanto riguarda sia la composizione sia l’esecuzione. Sentivamo la voglia e la necessità di realizzare un lavoro più ricercato e pensato in ogni dettaglio, a differenza dei vecchi brani basati su istintività e indole live”.
Ecco allora che le pareti si fanno sintetiche, le tastiere affiancano le chitarre e la sezione ritmica, da sempre il cuore pulsante del progetto, spinge sull’acceleratore esattamente come accade nei concerti, la dimensione ideale per i tre mantovani. Basti ascoltare episodi come Marineo e Somebody Just Like You – quest’ultima con il sax di Dario Acerboni, in prestito dai The Lemon Squeezers – per capire dove sono arrivati i Two Hicks One Cityman, e quanto accurata sia la ricerca della giusta melodia, della soluzione orecchiabile ma comunque fresca e mai banale. La spensieratezza di I Wanna Something richiama le ormai imminenti giornate primaverili. Il soul delicato di Let The Music Play si assesta momentaneamente negli anni Settanta. La splendida Love The Vibe è una prova di stile che soltanto i Phoenix di oggi avrebbero concepito in maniera simile.
In scaletta figura anche una collaborazione, quella con i Tin Woodman che mettono un pizzico di sana follia dentro a What If I. E poi c’è Until Dawn, traccia che prende le mosse da un riff che rimanda ai The War On Drugs. È forse qui che si ravvisa la nuova anima dei Two Hicks One Cityman, un perfetto equilibrio tra i suoni sintetici e l’indie rock, tra il funk e il soul, tra tutti questi ingredienti che si mescolano in un sound unico e facilmente riconoscibile. “Siamo soddisfatti di quello che è venuto fuori, perché rappresenta il nostro approccio curioso e l’incapacità di rimanere fermi in un solo luogo”. Ukiyo è questo, la fine e l’inizio di un percorso. Allacciate le cinture, si parte.