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“Fiesta” è l’album d’esordio dei Leatherette, la nuova promessa del modern post-punk italiano, in uscita oggi 14 ottobre 2022 per Bronson Recordings

Leatherette si presentano come “cinque ragazzi timidi che a volte scendono dal palco e prendono a pugni la gente“, un quintetto il cui incidente sonoro fatto di noise frastagliato, amore contorto, melodia oscura e angosciata ha prodotto un album incendiario. In uscita oggi 14 ottobre 2022 per Bronson Recordings in CD, vinile e digitale, Fiesta offre una via di uscita per chiunque ne abbia bisogno. Potreste associarli ad affini e focosi spiriti post-punk della fiorente scena internazionale come Shame o Squid, oppure a sfrenati rumoristi 90s quali Unwound o Hoover, o ancora a urlanti no waver della specie di James Chance, ma la verità è che attualmente ci sono poche band come i Leatherette che camminano su questa Terra.

Di base a Bologna ma provenienti da altre città d’Italia, i Leatherette si sono conosciuti on line e si sono formati come trio – con il cantante/chitarrista Michele, il bassista Marco e il batterista Francesco – prima di ampliare la loro line-up nel 2019 e accogliere a bordo Andrea, alla seconda chitarra, e Jacopo, il cui sassofono conduce lo stordimento generale verso direzioni inaspettate (ascoltate per esempio Dead Well, dove il suo legno poetico si fonde con la chitarra urlante in stile Sonic Youth e l’ululato di Michele per ottenere qualcosa di inquietantemente meraviglioso). “In principio, eravamo più sentimentali“, afferma lo stesso Michele. “Volevamo essere più rudi, e volevamo un sassofonista che suonasse meno jazz“. “Meno male che non sono bravo con il jazz“, replica Jacopo. “Parto più No Wave. Non suonavo da tre anni, avevo deciso che odiavo fottutamente il mio strumento. Avevo provato a suonare la chitarra e ad urlare in alcuni gruppi emo. Poi, per fortuna, ho incontrato i Leatherette e ho ricominciato a suonare il sassofono“.

E l’elemento che cattura al primo ascolto è proprio il sassofono, bello e incalzante in Cut, ma diventa presto chiaro che i Leatherette sono molto più della somma delle loro elettrizzanti parti, che il loro caotico puzzle di pezzi improbabili si aggiunge a qualcosa di unico e vitale . “Siamo molto sperimentali come musicisti“, spiegano. “Spesso i componenti delle band si sentono limitati, ma noi al contrario ci sentiamo molto liberiSiamo forti, perché siamo in cinque: cinque teste, cinque paia di spalle, cinque agglomerati di muscoli“. Ripetersi non è mai stato all’ordine del giorno. La motivazione di fondo è esprimersi. “Può essere difficile, come qualsiasi cosa in cui sei coinvolto emotivamente“, afferma il gruppo. “Avvertiamo il bisogno di rompere con qualsiasi routine abituale ed esprimerci in un modo che abbia un significato. Nessuno di noi potrebbe vivere senza fare musica”. “Dovevo trovare delle persone con cui poter suonare“, aggiunge Michele. “Sarei impazzito, altrimenti“.

Non siamo una di quelle band costituite da amici di lungo corsoÈ strano, perché siamo individui molto diversi, ma dobbiamo per forza amarci l’un l’altro“. I cinque si sono cementati assieme attorno alla musica, anche se ogni membro porta con sé un peculiare groviglio di influenze: dai primi dischi degli IDLES a gruppi emo del Midwest come American Football, da un sacco di rap alla  musica elettronica, dal garage ai King Gizzard & The Lizard Wizard, dall’art-rock dei King Crimson e del Bowie dell’era berlinese a John Coltrane e James Chance, sino a Frank Ocean.

Fiesta è il loro atteso primo album, anche se non si tratta della loro prima pubblicazione. In precedenza, i Leatherette avevano fatto uscire l’EP Mixed Waste, per We Were Never Being Boring Collective, inciso durante il lockdown in una sorta di processo di terapia comune. Le canzoni di Fiesta sono antecedenti a quelle di Mixed Waste, poiché l’album era stato pianificato prima del COVID e, sebbene da allora la band abbia scritto altre canzoni, voleva pubblicare questa prima serie di brani in un’unica opera. La loro decantatura non ne ha alterato il potenziale d’attacco; infatti, il tempo trascorso a entrare nelle canzoni dal vivo e riscriverle prima della lunga session di registrazione ha apportato se possibile più complessità e più passione. “Abbiamo avuto il tempo di riarrangiare queste canzoni e organizzarle più coerentemente. E registrarle appropriatamente è stato fantastico per noi, del tipo ‘Oh mio dio! Quindi possiamo davvero suonare bene?'”.

Il primo singolo So Long è un denso concentrato, al pari stravagante e poetico, di rumore rock, chitarre e travolgente orecchiabilità: una lettera suicida dove i toni e la musica catchy finiscono per creare un contrasto e una tensione grottesca, quasi kitsch. Il singolo è accompagnato dal relativo, giocoso video: “Abbiamo realizzato assieme a common wild pigs una schermata di videogame sulla falsariga della celebre serie Guitar Hero, con uno spartito grafico del brano. Volevamo ottenere un netto distacco tra il personaggio che suona la chitarra seguendo lo spartito del videogame, che rappresenta la gioia della musica e dell’atto creativo, e gli altri ragazzi che intonano il testo del brano, incarnando sofferenza e paranoie, e che svaniscono gradualmente dall’inquadratura“.

Il secondo singolo Sunbathing è venuto fuori dal nulla come una hit pop ingenua e sdolcinata in una giornata di sole. Una canzone brillante sulla speranza, sul sogno di una vita migliore e sul dire al mondo di andare a farsi fottere. Suona forte, veloce e ruvida come un irresistibile inno punk-shoegaze. I Leatherette stupiscono con la loro capacità di scrivere un brano pop, distruggerlo mentre lo suonano e farlo diventare qualcosa di unico e vitale.

La title track Fiesta, terzo singolo tratto dall’album, è uno dei brani più cupi e fumosi in scaletta. Il tema è stato scritto pensando agli standard jazz, dove il sax diventa protagonista. Un mood cinematico avanza, lento e swingante, reinterpretando la migliore tradizione hard boiled. Il titolo e l’atmosfera sono però ispirati dall’omonimo libro di Hemingway. Una melodia minimalista e astratta sull’assenza e sulla distanza.

Reduci dal loro primo entusiasmante tour europeo e dopo aver scosso i palchi dei festival MI AMI e Beaches Brew, i Leatherette hanno eseguito il loro album di debutto “quasi come fosse un album dal vivo“. Il risultato è un pugno di vento: qui c’è il suono dei lividi, dell’incertezza e dell’ansia, scandito e solcato da esplosioni di violenza catartica, da una voce spinta oltre ogni comfort zone, verso il fiore rosso sangue di un sax empatico. “Potrà sembrare una cosa stupida e adolescenziale, ma è vero il detto che la musica esorcizza i propri demoni interiori. La nostra musica è la cosa più sincera che potessimo fare. In essa non dobbiamo nasconderci. Certe cose potrebbero dare i brividi se dette ad alta voce, ma attraverso la musica ci sentiamo autorizzati a esternarle“.

Il titolo, Fiesta, e l’artwork dell’album sono un riferimento alle corse dei tori di Pamplona. “È uno strano rituale. Siamo contrari alle corride, ma dal punto di vista iconografico sono affascinanti. Persino a livello metaforico lo sono, perché  la violenza scorre da entrambe le parti ma in maniera festosa. È simile a un concerto, in fondo: stai esprimendo cose violente, con un approccio fisico. E chi sta dall’altra parte reagisce a questo, il che è fantastico”.

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