Be Forest
I Be Forest sono un trio di base a Pesaro, fondato nel 2009 e formato da Costanza Delle Rose, Erica Terenzi e Nicola Lampredi. Muovendosi tra dream pop, darwave, post-punk e shoegaze, i tre hanno suonato in Europa, Stati Uniti e Messico. Dopo "Cold" ed "Earthbeat", pubbllicati tra 2011 e 2014, il terzo album "Knocturne" è uscito l'8 febbraio 2019 sempre con il supporto dell’etichetta WWNBB.
Si apre il sipario: Knocturne è l’atteso nuovo album dei Be Forest!
Knocturne è un colpo notturno (“knock”, “nocturne”), è l’oscurità che bussa alla porta. Aprite quella porta e lasciate entrare i Be Forest, di ritorno l’8 febbraio 2019 con il loro atteso terzo album, pubblicato come i precedenti dal collettivo We Were Never Being Boring. Lasciate entrare una delle band più rilevanti degli ultimi dieci anni per quel che riguarda la scena indipendente italiana, molto apprezzata anche a livello internazionale, in Europa e negli Stati Uniti.
Se tutto è illusione, quando si spalanca il sipario c’è un abisso di note nel quale nuotare o sprofondare, davvero, senza compromessi. Costanza Delle Rose (voce, basso), Erica Terenzi (voce, batterie, Eminent) e Nicola Lampredi (chitarra), sempre più autentici, raccontano di essere gli spettatori, nella sala del teatro che è la vita quotidiana, mentre sul palcoscenico c’è quello che siamo, il buio in cui dobbiamo imparare ad avanzare. Knocturne vuole restare sulla linea delle quinte, nel mezzo, tra le pieghe del velluto.
“Abbiamo impiegato tanto a scrivere Knocturne, a registrarlo e finirlo, ma ci abbiamo messo molto più tempo a capirlo noi per primi. A differenza degli altri nostri dischi, non ha un luogo di riferimento o dei colori: non siamo in Norvegia in mezzo a un bosco, né in una riserva indiana seduti intorno al fuoco. All’inizio, pensavamo che questo album fosse ambientato nello spazio… poi ci siamo sentiti attratti dall’opposto, dagli abissi più profondi, dall’idea di quel buio interminabile. E, in un certo senso, questa è stata l’immagine che si è impressa più di tutte nelle nuove canzoni”.
Dopo il sorprendente esordio Cold del 2011 (ristampato nel 2017), dopo l’acclamato Earthbeat del 2014, dopo aver insomma fronteggiato il ghiaccio di foschie shoegaze e il fuoco di ritmiche tribali, è il momento di quel buio interminabile che restituisce il senso stesso dell’avventura sonora del trio di Pesaro, fondato esattamente dieci anni fa, nel 2009. Addentrarvisi significa avere il coraggio di sfidare l’ignoto, oppure di abbandonarsi al conforto.
I confini di riferimento, che siano post-punk o dream pop, si fanno meno netti: a risaltare, a risplendere è soltanto una personalità immediatamente riconoscibile. Il sound, il più possibile analogico, è scarno e minimale, nonostante la produzione – condivisa con Steve Scanu – risulti stratificata e sia stata meditata a lungo. È un sound fatto di voci sussurrate, corde riverberate, percussioni marziali suonate in piedi, fumose atmosfere lynchiane. Non a caso il master è stato affidato a Josh Bonati, già al lavoro con David Lynch, con Mac DeMarco e Zola Jesus tra gli altri.
Come sempre, la scaletta è composta da nove brani: sette canzoni e due strumentali che si legano in un’unica, coerente successione. Le immagini che si stagliano nella cupezza dominante sono quelle di sogni, luci blu, reti di comete, stelle e tuoni. Nel primo singolo Bengala, rappresentativo della necessità di essere se stessi, si canta “I’m waiting myself hidden somewhere in my heart”: “Bengala è il riflettore che illumina il palco dopo l’apertura delle tende; un corpo celeste che al momento del suo impatto ci permette di intravedere l’ambiente circostante: è il punto più luminoso, il Nord della bussola. Questa è, tuttavia, solo una delle coordinate di Knocturne. Forse la più rassicurante“. Il sole e la luna si dividono nello speculare Gemini, secondo singolo in una ricerca identitaria contro lo smarrimento, contro il vuoto: “Gemini è una delle ultime canzoni scritte per Knocturne. È una traccia breve ma racchiude una dualità palpabile: mentre le chitarre scaldano le onde sonore delle terzine, la batteria, adamantina e controllata, interpone una tendenza apparentemente ‘techno’. Le voci sono seducenti nell’invocare una notte che si estende sul giorno. È una canzone che vuole indossare una dicotomia, che non diventa mai rivalità bensì coesiste nella sua duplice natura. È una bivalenza che si trasforma in coppia”. Sigfrido è il terzo fantasmatico singolo, mentre nella traccia conclusiva You, Nothing si rivendica la propria diversità alla volta di nuovi mondi da esplorare. Perché quella dei Be Forest – pronti a ripartire in tour da inizio febbraio, in Italia e negli Stati Uniti – è un’arte in continuo movimento, incapace di restare ancorata a un approccio sicuro.
Nel video di Atto I, scelto come teaser del disco, ci sono delle tende nere che si aprono e chiudono. Silenzio, sono tornati i Be Forest.